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Intervista a Daniele Pini, Group CFO dal 2010 presso PINKO.
Può descriverci l’identità, la storia e i valori che hanno guidato e guidano l’azienda?
PINKO è un fashion brand italiano indipendente con un posizionamento high contemporary fondato nei primi anni Ottanta da Pietro Negra e Cristina Rubini. Innovazione, creatività e una forte identità hanno, da sempre, rappresentato il Brand insieme alla qualità della manifattura. PINKO si rivolge a donne contemporanee che vivono pienamente la loro femminilità, curiose con forti personalità e amanti della moda.
In linea con lo spirito del brand, il nostro Headquarter è uno stupendo progetto architettonico in cui tecnologia e arte di si integrano con il paesaggio naturale, una vera “fabbrica nel verde” che ben esprime i valori di qualità del lavoro e attenzione al fattore umano.
Qual è attualmente il vostro modello di distribuzione offline?
La rete distributiva di PINKO conta oggi oltre 200 negozi monomarca, per lo più diretti, e oltre 1000 negozi multimarca premium in tutto il mondo. Siamo presenti nei più prestigiosi department stores internazionali e nelle principali vie del lusso a Milano, Parigi, Londra, NY e Tokyo.
Nell’esercizio 2017 supereremo i 200 milioni di fatturato, di cui oltre il 50% all’estero, con redditività in crescita.
Qual è la peculiarità dei vostri prodotti e quali sono le ragioni del loro successo?
Per rispondere a questa domanda riprendo le parole del nostro Presidente: “Sin dagli inizi abbiamo avuto ben chiara la nostra visione che è quella di dare forma ai desideri della donna contemporanea in fatto di immagine, regalandole attraverso i vestiti anche la libertà di esprimersi in tutto il suo potenziale e in tutte le sue sfumature”.
Il successo deriva, ritengo, dalla passione verso il prodotto che si respira quotidianamente in azienda, dalla chiara visione strategica e dalla capacità di tramutarla in risultati. Inoltre è da sempre presente in PINKO una grande attenzione e apertura mentale verso l’innovazione tecnologica e organizzativa, una tensione al miglioramento continuo a tutti i livelli.
L'industria dell'abbigliamento sta diventando sempre più digital e più flessibile. Come le case di moda possono sfruttare le possibilità dei nuovi canali di comunicazione?
Viviamo un periodo storico di cambiamento epocale di varie industrie, tra cui quella della moda, e dei relativi canali di vendita, quale il Retail. Tutti i giorni leggiamo di come i colossi dell’e-commerce si stiano muovendo nel nostro settore, approcciando la distribuzione fisica e mettendo in campo processi di Big Data Analytics e cognitive computing, fino a qualche anno fa del tutto estranei al mondo del fashion.
I social network sono diventati in assoluto il Media più influente e la comunicazione deve quindi orientarsi su tali canali e touchpoints digitali. La complessità è aumentata ma contestualmente ha aperto opportunità di business prima del tutto inesplorate.
Il cognitive computing è sempre più diffuso anche nella moda (cognitive fashion). Quanto è affidabile a parere suo nel predire le nuove tendenze e ridurre i rischi?
Ricordo la lettura di uno studio del 2014 che indicava come i migliori modelli preduttivi dessero indicazioni erronee quasi la metà delle volte in termini di tendenze stilistiche. Non c’è dubbio tuttavia che a fronte della continua evoluzione tecnologica e infrastrutturale, le metriche, anche nel fashion, sono sempre più precise e il machine learning fornisce oggi risultati sempre più accurati nel predire sales trends di breve termine. Google ha una divisione “Trendspotting” e pubblica regolarmente “Fashion Trends Reports” basati sulle search. Amazon sta lavorando su algoritmi che possano imparare lo stile dalle immagini e su questa base formulare proposte creative.
Tencentha un team di ricerca dedicato all'intelligenza artificiale che lavora per sviluppare la capacità di analizzare le tendenze della moda tra i giovani; hanno elaborato miliardi di foto su QQ, una delle applicazioni social di messaggistica di Tencent, per identificare i colori più popolari, i tessuti e altri dettagli.
Tuttavia, devo dire che, fortunatamente, nel nostro settore la Creatività, con le sue declinazioni “immateriali”, ha ancora un peso significativo nel successo di una collezione e nella definizione di un nuovo trend.
L'intelligenza artificiale e la tecnologia di machine-learning sono considerate soluzioni essenziali per aiutare le case di moda ad avere successo in un mercato impegnativo. Come si evolverà secondo lei nei prossimi anni questo matrimonio tra esperti di digital science e le aziende del settore?
Gli ambiti di applicazione dell’intelligenza artificiale nel Fashion sono numerosi: si pensi alle interazioni che si possono instaurare nei percorsi di navigazione online (one-to-one customer service) ma anche fisici all’interno di uno store o alla possibilità evolvere il CRM azionando campagne dirette di marketing. Anche processi più tradizionali come il buying o la definizione del pricing possono essere fortemente aiutati dall’utilizzo di algoritmi più o meno sofisticati.
Negli ultimi quattro anni gli investimenti in startup innovative europee ascrivibili al fashion-tech, cioè alle tecnologie digitali al servizio dell’Industry del fashion, è quasi quadruplicato, e il “deep tech” gioca un ruolo sempre più rilevante.
Avete negozi in tutto il mondo ma allo stesso tempo avete una forte presenza nell'e-commerce. Quali sono le differenze tra questi due canali in termini di peso sul fatturato e di richieste dei clienti? Prevede che in futuro il vostro modello distributivo possa cambiare in modo sostanziale?
L’e-commerce è un canale complesso e capital intensive, abbiamo tuttavia deciso quest’anno di internalizzarlo, come stanno peraltro facendo tanti Brands del settore. Per gestire adeguatamente la multicanalità, che pone al centro il cliente ma anche lo store fisico, riteniamo che sia meglio optare per un presidio diretto anche del canale online. Quindi, benché oggi l’e-commerce rappresenti solo qualche punto percentuale del nostro fatturato, contestualmente è di gran lunga il nostro store più visitato. Fenomeni come il ROPO (Research Online, Purchase Offline) sono in evidente e costante crescita. É quindi fondamentale investire sulla piattaforma e su tutte le leve di Branding, in primis shooting, web-marketing e merchandising.
In generale, penso che l’online shopping non collida con lo shopping fisico tradizionale. Penso che invece incoraggi un nuovo modo di pensare allo store fisico, più emozionale ed esperienziale, più orientato alla multicanalità e al dialogo con diversi touchpoints digitali.
Ad oggi utilizzate o pensate di utilizzare canali di Market Place quali Amazon, Yoox, Zalando, etc... Che impatto hanno?
Le piattaforme pure e-commerce possono rappresentare una rilevante fonte di ricavi, ma oggi sono ancora guardate dall’alto in basso da molti Brands del settore, in quanto sviluppatesi sulla vendita del fine stagione. Personalmente ritengo che il tema del posizionamento / brand-mix intrinseco alle piattaforme andrà a cadere nel prossimo futuro e tutti Brands, inclusi quelli del luxury, dovranno instaurare relazioni con i big players dell’e-commerce che dominano non solo il traffico ma anche i Big Data.
Tra tutti, 3 grandi Gruppi sono per me fonte di grande attenzione e ispirazione: Amazon, Alibaba e JD.com (partecipato da Tencent). Due su tre sono Cinesi e non aggiungo altro circa l’impatto asiatico sul futuro del nostro business.
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