SONO STATE POSTE LE PREMESSE PER TRASFORMARE L'IMPRESA DEL TERRITORIO IN OTTICA 4.0.
Come sottolinea Ambrogio Prezioso, Presidente di Unione Industriali Napoli, diverse aziende con percentuali di crescita e fatturati rilevanti sono pronte a aderire al progetto Elite.
Nel nostro sito diamo voce a tutti i vertici delle associazioni territoriali di Confindustria, in concomitanza con gli appuntamenti del road show per promuovere il progetto Elite organizzato dalla Confederazione.

Quali sono i punti di forza del vostro tessuto imprenditoriale?Napoli ha una vocazione imprenditoriale secolare, con presenze produttive articolate in molteplici settori. Alle rilevanti preesistenze nel comparto manifatturiero si sono aggiunte negli ultimi decenni imprese di elevata qualificazione in comparti come il terziario avanzato e i servizi in generale. Un processo accelerato anche sotto la spinta delle nuove generazioni di imprenditori. Napoli è la quarta provincia italiana per numero di startup innovative. Anche il turismo, superata la crisi indotta dall’emergenza rifiuti, ha avviato da tempo un percorso di rilancio. Una grande opzione per lo sviluppo del territorio regionale è costituita dai suoi giacimenti culturali. Il patrimonio artistico e culturale unico presente a Napoli e in Campania è un valore aggiunto per l’economia territoriale. L’avvio di politiche integrate di sviluppo degli attrattori culturali e dell’industria del turismo sta ponendo le basi per dare vita a una filiera integrata dell’ospitalità e dell’accoglienza.Quante sono le aziende e gli addetti?Limitatamente al solo comparto manifatturiero, a Napoli risultano attive poco meno di 13 mila imprese per oltre 75 mila addetti.Quali sono le specializzazioni del territorio?L’industria napoletana si articola in moltissimi settori: dall'automotive al packaging, dall'agroalimentare all'elettromeccanica, dall'abbigliamento all'aerospazio.
Molte di queste imprese puntano con determinazione su ricerca e sviluppo e arrivano a esportare anche l'80% della propria produzione. La presenza di istituzioni accademiche e centri di ricerca di eccellenza e di un tessuto di pmi molto qualificato nel comparto dei servizi ha favorito la creazione di un polo dell’innovazione nell’area orientale, promosso dall’Università Federico II con intese con multinazionali quali Apple e Deloitte. Queste realtà, unitamente alla creazione di organismi come Campania Digital Innovation Hub creato dal sistema confindustriale locale insieme all’Ance regionale, costituiscono la premessa per una prossima trasformazione dell’impresa del territorio in ottica 4.0.Cosa vorreste fare per essere un ecosistema sempre più solido e competitivo?La coesione istituzionale, la realizzazione concreta, e non solo formale, del partenariato pubblico privato, la razionalizzazione e la messa in efficienza dell’apparato amministrativo, il contrasto a forme di economia sommersa distorsive delle regole del mercato e dannose innanzitutto per le imprese in regola con i principi della libera e leale concorrenza, sono tra i presupposti per la maggiore competitività del territorio, in uno scenario di sviluppo ecosostenibile. Bisogna altresì selezionare con rigore interventi capaci di ridurre strutturalmente il gap infrastrutturale, realizzare reti energetiche, piattaforme telematiche, potenziare i principali snodi di traffico stradale, ferroviario, portuale e aeroportuale e collegarli in una rete intermodale inclusiva delle strutture interportuali.Quali sono, secondo lei, i principali ostacoli alla crescita delle piccole e medie aziende?In un Paese idi piccole imprese, la dimensione media delle imprese napoletane è ancora più piccola. Si tratta di un elemento che non facilita processi di formazione, innovazione, internazionalizzazione, decisivi per vincere la sfida competitiva di un mercato globalizzato. Occorrono dunque politiche che favoriscano la crescita dimensionale e le aggregazioni fra imprese. E’ fondamentale anche la semplificazione e la riduzione della discrezionalità amministrativa. Troppo spesso la burocrazia si pone in contrasto e non al servizio delle imprese.Quanta familiarità hanno le aziende del territorio relativamente al mercato dei capitali inteso come alternativa al finanziamento bancario?Pur con diverse qualificate eccezioni e con una lenta ma progressiva crescita di consapevolezza della necessità di modificare attitudini e retaggi culturali, la capacità e l’attitudine ad aprirsi ad altre forme di credito che non sia solo quello bancario e a forme di capitalizzazione alternative resta insufficiente.Le aziende, secondo lei, sono pronte al cambiamento e ad aprirsi al mercato aderendo al progetto ELITE?Diverse aziende campane presentano percentuali di crescita e fatturati importanti, quindi direi proprio di sì.